martedì 29 novembre 2016

Da un batterio a una proteina; vicini a sconfiggere diabete e obesità

binoculare microscopio

I ricercatori dall'Università Cattolica di Louvain (UCL) in Belgio, sono riusciti a bloccare lo sviluppo dell'obesità e del diabete di tipo 2 nei topi.

Ciò è potuto avvenire tramite due distinti trattamenti basati su un batterio chiamato "Akkermansia muciniphila".

Se i test che sono attualmente in corso, saranno positivi anche negli esseri umani, questa pionieristica scoperta aprirà la strada ad un futuro farmaco che permetterà non solo la lotta contro queste due malattie, ma anche contro le malattie di tipo cardiovascolare nonché le infiammazioni intestinali.


Lo ha annunciato Lunedi in una conferenza stampa il portavoce della UCL, Patrice Cani e il suo team hanno lavorato per un decennio all' "Akkermansia muciniphila".
Nello pacifico si tratta di un batterio presente solo nell'intestino dei vertebrati.

I ricercatori avevano già dimostrato che questo batterio da vivo giocava un ruolo chiave nella lotta contro l'obesità e il diabete di tipo 2 nei topi. Ma una ulteriore ricerca ha scoperto che se pastorizzato a 70°c, il batterio è in grado non solo di fermare lo sviluppo di queste due malattie ma anche di prevenirle.

Nel cercare di capire perché Akkermansia si comporta in modo diverso se pastorizzato vivo, i ricercatori hanno poi aggiornato la proteina "Amuc_1100", presente sulla membrana esterna dei batteri. Questa proteina rimane attiva anche dopo avere subito la pastorizzazione. La sua scoperta è un passo avanti in un probabile e atteso impatto positivo sul nostro sistema immunitario.

"Blocca il passaggio di tossine nel sangue e rafforza il sistema immunitario dell'intestino", ha spiega il Dr. Cani. "Dà una speranza terapeutica per altre malattie come l'infiammazione dell'intestino osservato in casi di stress, alcolismo, malattie del fegato o cancro", ha inoltre aggiunto il professore.

A questo punto, sono in corso test compreso gli esseri umani con il batterio Akkermansia alla clinica St Luke University. Superato solo il primo passo, che esclude il pericolo di trattamento sul corpo umano, resta da determinare se gli effetti positivi osservati nei topi saranno confermati anche sugli esseri umani.









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